Ci
sono delle stelle davanti a me.
Alzo
gli occhi. Lo scintillio di puntini continua anche sopra la mia testa. Allora
guardo in basso.
Altre
stelle.
Sono
sospeso nel vuoto. Senza peso, e senza fatica. Attorno a me, un unico cielo
stellato.
Vedo
le mie vene continuare fuori dalle braccia, alla ricerca di qualcosa che serve
al mio corpo. O forse non sono le mie vene. Forse sono tubi di plastica che si
infilano sotto la mia pelle e mi risalgono fino a perdersi nei grovigli del
petto. Li sento tutti, uno per uno, scavarmi dentro.
Mi
lascio sfuggire un gemito. E non ci sono più vene, né tubi. Ora ci sono solo
schegge di vetro che strisciano fuori dalle mie braccia, che si staccano e
restano lì, a galleggiare nel buio, come piume.
Mi
sento meglio, senza più quel vetro dentro di me. Però non ricordo che ci
facesse, dentro di me. Non ricordo nemmeno il dolore di un attimo fa.
Dove
sono?
Le
stelle non mi rispondono. Forse dovrebbero essere loro, la risposta.
O
forse il vetro.
Tendo
una mano davanti a me. I frammenti si avvicinano tra loro. Per un attimo
lasciano il disegno di una ragnatela a dividerli, poi si uniscono in un
rettangolo. Sembra quasi una finestra.
Poggio
la mano sul vetro. Sento che è freddo. Assieme a quella sensazione ne arrivano
altre. Oltre il vetro, ma prima delle stelle, c’è altro, tanto altro che scorre
veloce; una strada, manifesti strappati sule pareti, una schiera di pini, un
muro di mattoni, insegne luminose, un semaforo…
Mi
volto verso Lucia e la vedo ridere, sdraiata per metà sul sedile posteriore e
per metà sulle mie gambe. Sta parlando, anche, ma le parole che sento non hanno
nulla a che fare con il movimento delle sue labbra rosse.
Svegliati,
per favore! Svegliati, Giovanni!
Rido
anch’io, insieme a Lucia. Poi lei sbatte le palpebre. Un secondo dopo i suoi
occhi si spalancano e le pupille diventano minuscole gocce nere. Nelle sue
iridi verdi si riflette una luce.
Mi
volto di scatto. Non è una luce. Sono due. Fari.
Il
vetro va in mille pezzi, e con lui tutto il resto. Esplode il silenzio.
Che
è successo?
Guardo
di nuovo davanti a me. Centinaia di schegge scintillano e si allontanano nel
buio. Ogni scintilla dopo un po’ si ferma. Diventa una stella.
Non
c’è più vetro. Non c’è più Lucia. Non c’è più altro.
Solo
stelle.
Svegliati.
Un
dolore nuovo, pungente, al petto. E un altro alla mano.
Giovanni!
Sento
la mia mano che tocca qualcosa, eppure non c’è nulla. Guardo meglio.
Un’altra
mano stringe la mia, ma la stretta non è abbastanza forte. La mano appare e
scompare.
Ora
c’è. Ora no. Ora c’è. Ora no.
Cerco
di stringerla, di tenerla con me. Voglio farlo, ma è difficile, come seguire la
melodia di una canzone su una radio mal sintonizzata.
C’è
troppo rumore. E troppo dolore. Ogni parte del mio corpo sta urlando. E di
nuovo sento tubi insinuarsi dentro di me, mentre ossa, muscoli e organi si
spezzano uno dopo l’altro…
Bip.
Bip. Bip.
A
ogni piccolo suono le stelle si spengono, e tornano poi col silenzio. E ancora
si spengono, e ancora tornano, assieme al dolore.
Gli
ultimi due frammenti di vetro scivolano fuori dal mio petto e dal palmo della
mia mano, si uniscono a mezz’aria, come due metà perfette, e si perdono nel
cielo scuro per formare un’ultima stella.
Perché
sto cercando di resistere? Non ricordo.
Lascio
la presa.
Un
unico suono continuo, senza colore, traccia una sottile linea di luce all’orizzonte.
Mentre il suono muore, la luce cresce, inghiottendo tutto; me, il buio, le
stelle.
Ora
non c’è più niente.
Solo
pace.
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