lunedì 1 settembre 2014

MicroRacconto - Stelle di Vetro




Ci sono delle stelle davanti a me.
Alzo gli occhi. Lo scintillio di puntini continua anche sopra la mia testa. Allora guardo in basso.
Altre stelle.
Sono sospeso nel vuoto. Senza peso, e senza fatica. Attorno a me, un unico cielo stellato.
Qualcosa mi fa male. Brucia. Ho paura di guardare, però lo faccio. Abbasso gli occhi su me stesso.
Vedo le mie vene continuare fuori dalle braccia, alla ricerca di qualcosa che serve al mio corpo. O forse non sono le mie vene. Forse sono tubi di plastica che si infilano sotto la mia pelle e mi risalgono fino a perdersi nei grovigli del petto. Li sento tutti, uno per uno, scavarmi dentro.
Mi lascio sfuggire un gemito. E non ci sono più vene, né tubi. Ora ci sono solo schegge di vetro che strisciano fuori dalle mie braccia, che si staccano e restano lì, a galleggiare nel buio, come piume.
Mi sento meglio, senza più quel vetro dentro di me. Però non ricordo che ci facesse, dentro di me. Non ricordo nemmeno il dolore di un attimo fa.

Dove sono?
Le stelle non mi rispondono. Forse dovrebbero essere loro, la risposta.
O forse il vetro.

Tendo una mano davanti a me. I frammenti si avvicinano tra loro. Per un attimo lasciano il disegno di una ragnatela a dividerli, poi si uniscono in un rettangolo. Sembra quasi una finestra.
Poggio la mano sul vetro. Sento che è freddo. Assieme a quella sensazione ne arrivano altre. Oltre il vetro, ma prima delle stelle, c’è altro, tanto altro che scorre veloce; una strada, manifesti strappati sule pareti, una schiera di pini, un muro di mattoni, insegne luminose, un semaforo…
Mi volto verso Lucia e la vedo ridere, sdraiata per metà sul sedile posteriore e per metà sulle mie gambe. Sta parlando, anche, ma le parole che sento non hanno nulla a che fare con il movimento delle sue labbra rosse.
Svegliati, per favore! Svegliati, Giovanni!
Rido anch’io, insieme a Lucia. Poi lei sbatte le palpebre. Un secondo dopo i suoi occhi si spalancano e le pupille diventano minuscole gocce nere. Nelle sue iridi verdi si riflette una luce.
Mi volto di scatto. Non è una luce. Sono due. Fari.
Il vetro va in mille pezzi, e con lui tutto il resto. Esplode il silenzio.

Che è successo?
Guardo di nuovo davanti a me. Centinaia di schegge scintillano e si allontanano nel buio. Ogni scintilla dopo un po’ si ferma. Diventa una stella.
Non c’è più vetro. Non c’è più Lucia. Non c’è più altro.
Solo stelle.
Svegliati.
Un dolore nuovo, pungente, al petto. E un altro alla mano.
Giovanni!
Sento la mia mano che tocca qualcosa, eppure non c’è nulla. Guardo meglio.
Un’altra mano stringe la mia, ma la stretta non è abbastanza forte. La mano appare e scompare.
Ora c’è. Ora no. Ora c’è. Ora no.
Cerco di stringerla, di tenerla con me. Voglio farlo, ma è difficile, come seguire la melodia di una canzone su una radio mal sintonizzata.
C’è troppo rumore. E troppo dolore. Ogni parte del mio corpo sta urlando. E di nuovo sento tubi insinuarsi dentro di me, mentre ossa, muscoli e organi si spezzano uno dopo l’altro…
Bip. Bip. Bip.
A ogni piccolo suono le stelle si spengono, e tornano poi col silenzio. E ancora si spengono, e ancora tornano, assieme al dolore.
Gli ultimi due frammenti di vetro scivolano fuori dal mio petto e dal palmo della mia mano, si uniscono a mezz’aria, come due metà perfette, e si perdono nel cielo scuro per formare un’ultima stella.

Perché sto cercando di resistere? Non ricordo.
Lascio la presa.
Un unico suono continuo, senza colore, traccia una sottile linea di luce all’orizzonte. Mentre il suono muore, la luce cresce, inghiottendo tutto; me, il buio, le stelle.

Ora non c’è più niente.

Solo pace.

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